La storia
All’eruzione del 79 d.C., che seppellì interamente la città, circa altre settanta ne sono seguite, fino a quella recente del 1944. La configurazione della montagna, durante la grande eruzione, si modificò; dal monte Somma, spaccandosi, nacque il monte Vesuvio che, con le successive eruzioni, vide triplicarsi la grandezza del cratere. Per secoli, di Pompei non si seppe più nulla, se ne era persa persino l’ubicazione. I primi indizi dei futuri ritrovamenti si ebbero nel 1628: durante alcuni lavori condotti nella valle del Sarno, emersero dei ruderi che incuriosirono gli scienziati dell’epoca. Ma fu oltre un secolo dopo che iniziarono ad Ercolano, e circa dieci anni più tardi a Pompei, gli scavi regolari voluti da Carlo III di Borbone, re delle Due Sicilie.
A Pompei i lavori iniziarono intorno al 1748, nella zona della Civita, che allora si riteneva fosse Stabia, alternandosi a soste dovute ad altri ritrovamenti ad Ercolano, e proseguendo per lo più senza un piano determinato e senza un preciso metodo, effettuati da prigionieri alla catena e da ragazzi in tenera età. La documentazione si limitava alla riproduzione grafica degli oggetti scavati, senza alcun interesse per i dati di scavo.
La ricerca era mirata solo al reperimento di materiale per i musei o per decorare i palazzi reali, mentre gli edifici scavati, una volta spogliati delle opere d’arte, venivano lasciati senza alcuna cura alle intemperie.
Con lo scoppio della rivoluzione in Francia iniziarono anche a Napoli i primi moti rivoluzionari e l’attività degli scavi diminuì sensibilmente e solo con Giuseppe Bonaparte prima e Gioacchino Murat dopo, ripresero con maggiore ampiezza e con maggiore impiego di manodopera.
Si tentò di individuare il perimetro dell’intera città per conoscerne l’estensione, e l’interesse si spostò dal mero recupero di oggetti preziosi alla conoscenza dell’architettura e dell’urbanistica.
A Pompei i lavori iniziarono intorno al 1748, nella zona della Civita, che allora si riteneva fosse Stabia, alternandosi a soste dovute ad altri ritrovamenti ad Ercolano, e proseguendo per lo più senza un piano determinato e senza un preciso metodo, effettuati da prigionieri alla catena e da ragazzi in tenera età. La documentazione si limitava alla riproduzione grafica degli oggetti scavati, senza alcun interesse per i dati di scavo.
La ricerca era mirata solo al reperimento di materiale per i musei o per decorare i palazzi reali, mentre gli edifici scavati, una volta spogliati delle opere d’arte, venivano lasciati senza alcuna cura alle intemperie.
Con lo scoppio della rivoluzione in Francia iniziarono anche a Napoli i primi moti rivoluzionari e l’attività degli scavi diminuì sensibilmente e solo con Giuseppe Bonaparte prima e Gioacchino Murat dopo, ripresero con maggiore ampiezza e con maggiore impiego di manodopera.
Si tentò di individuare il perimetro dell’intera città per conoscerne l’estensione, e l’interesse si spostò dal mero recupero di oggetti preziosi alla conoscenza dell’architettura e dell’urbanistica.
Con la nascita del Regno d’Italia, nel 1861, i Savoia dimostrarono subito di non sottovalutare il prestigio derivante dai ritrovamenti pompeiani. Per volere del nuovo re vennero iniziati scavi sistematici: fu nominato alla direzione Giuseppe Fiorelli, professore di archeologia all’Università di Napoli dal 1860 al 1863, quindi direttore generale delle Antichità e Belle Arti del Regno d’Italia, che divise la città in regioni e isole numerando tutte le case, sistema in uso ancora oggi.
Il Fiorelli adottò un metodo scientifico, con giornale di scavo, rilevamenti, schedatura degli oggetti, e impiegò oltre cinquecento operai nel lavoro. A lui si deve l’invenzione del metodo di riempire con gesso i vuoti lasciati dalle vittime nel banco di cenere indurita, che fornisce una specie di matrice da cui si ricavano le impronte dei corpi colti nel momento stesso della morte, con effetti drammatici di notevole intensità.
Il Fiorelli adottò un metodo scientifico, con giornale di scavo, rilevamenti, schedatura degli oggetti, e impiegò oltre cinquecento operai nel lavoro. A lui si deve l’invenzione del metodo di riempire con gesso i vuoti lasciati dalle vittime nel banco di cenere indurita, che fornisce una specie di matrice da cui si ricavano le impronte dei corpi colti nel momento stesso della morte, con effetti drammatici di notevole intensità.
Anche il sistema di portare via tutti gli oggetti dall’area di scavo venne abbandonato: le pitture e i mosaici furono in maggioranza lasciati sul posto; le case scavate vennero ricoperte con tetti che riproducevano la disposizione antica e costituivano un riparo contro il degrado.
Gli anni che seguirono furono i migliori: si allargano le ricerche verso est e verso la Porta di Nola, vengono riportate alla luce numerose case, di cui si consolidano le strutture e si restaurano le pitture sul luogo. Dal 1924 al 1961 la direzione delle ricerche è affidata a Amedeo Maiuri alla cui figura è legato l’approfondimento storico della città; egli, per primo, vuole conoscere le fasi precedenti della città, approfondendo l’esplorazione agli strati più antichi nelle zone più vitali, quali il Foro, i templi, le mura.
Negli ultimi anni, l'obiettivo principale è stato quello di realizzare un sistema organico di interventi di messa in sicurezza e restauro dell’area archeologica, secondo la metodologia della “conservazione programmata”, finalizzato ad arrestare e recuperare gli effetti dei fenomeni di degrado degli edifici, degli apparati architettonici e di quelli decorativi, contenere il rischio idrogeologico e migliorare la sicurezza e la fruizione generale del sito.
Gli anni che seguirono furono i migliori: si allargano le ricerche verso est e verso la Porta di Nola, vengono riportate alla luce numerose case, di cui si consolidano le strutture e si restaurano le pitture sul luogo. Dal 1924 al 1961 la direzione delle ricerche è affidata a Amedeo Maiuri alla cui figura è legato l’approfondimento storico della città; egli, per primo, vuole conoscere le fasi precedenti della città, approfondendo l’esplorazione agli strati più antichi nelle zone più vitali, quali il Foro, i templi, le mura.
Negli ultimi anni, l'obiettivo principale è stato quello di realizzare un sistema organico di interventi di messa in sicurezza e restauro dell’area archeologica, secondo la metodologia della “conservazione programmata”, finalizzato ad arrestare e recuperare gli effetti dei fenomeni di degrado degli edifici, degli apparati architettonici e di quelli decorativi, contenere il rischio idrogeologico e migliorare la sicurezza e la fruizione generale del sito.
Oggi Pompei è il sito archeologico più esteso al mondo; i suoi 66 ettari, di cui 45 scavati e 33 aperti al pubblico, costituiscono l’estensione dell’antica città romana.
L’area archeologica è una città suddivisa in 9 regiones (quartieri), articolata in 112 insulæ (isolati) e 1500 domus (case) e possiede un vario e ricco patrimonio artistico fatto di mosaici, superfici decorate ed elementi architettonici decorativi, componenti importanti della identità pompeiana che attrae milioni di visitatori ogni anno.
Pompei è sito Unesco dal 1996.
L’area archeologica è una città suddivisa in 9 regiones (quartieri), articolata in 112 insulæ (isolati) e 1500 domus (case) e possiede un vario e ricco patrimonio artistico fatto di mosaici, superfici decorate ed elementi architettonici decorativi, componenti importanti della identità pompeiana che attrae milioni di visitatori ogni anno.
Pompei è sito Unesco dal 1996.