La scuola
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L’istruzione era considerata un fatto privato, quindi chi la desiderava doveva provvedervi a suo completo carico. Spesso il maestro non disponeva di aule, allora al mattino, raccolti gli allievi, li conduceva in un luogo pubblico aperto quale il Foro o il Campus e sotto gli ampi porticati di tali edifici teneva la propria lezione. La didattica era quella di far esercitare la memoria, imporre cioè l’apprendimento mnemonico del maggior numero possibile di cose; il maestro era solito far ricorso alla frusta (vapula).
Le famiglie molto ricche potevano invece permettersi un pedagogus che di solito era uno schiavo greco che doveva badare all’istruzione del ragazzo dai sei, sette anni fino ai sedici; inoltre doveva assisterlo in tutte le cose alle quali non potevano attendere i genitori.
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L’arredamento della scuola pompeiana era molto semplice: alcuni sgabelli per gli alunni, la cathedra o sella per il maestro, elementi didattici come figurazioni o rilievi e magari carte geografiche. L’orario delle lezioni era di circa sette ore giornaliere, suddivise in cinque ore antimeridiane e due pomeridiane, effettuate dopo una breve pausa per il prandium.
L’insegnamento elementare consisteva in un quinquennio, durante il quale, oltre a leggere e a scrivere, si praticava dettato, il calcolo con l’abaco o i calculi (sassolini che servivano per l’addizione), nozioni musicali, di storia, geografia, narrazione. All’età di dodici anni cominciava, sotto la guida del grammaticus, la scuola che noi chiamiamo media, dove si studiava la grammatica, che poteva essere latina, o greca e latina. Oltre alle lingue nel ludus grammaticus si studiava storia, geografia, fisica, astronomia, aritmetica e geometria.
L’insegnamento elementare consisteva in un quinquennio, durante il quale, oltre a leggere e a scrivere, si praticava dettato, il calcolo con l’abaco o i calculi (sassolini che servivano per l’addizione), nozioni musicali, di storia, geografia, narrazione. All’età di dodici anni cominciava, sotto la guida del grammaticus, la scuola che noi chiamiamo media, dove si studiava la grammatica, che poteva essere latina, o greca e latina. Oltre alle lingue nel ludus grammaticus si studiava storia, geografia, fisica, astronomia, aritmetica e geometria.
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Gli studi potevano proseguire con il rhetor (professore di eloquenza): i giovani si preparavano alla vita pubblica allargando la propria cultura con lo studio di testi classici, tra i quali si dava la massima importanza ai prosatori che “aiutavano ad apprendere”, con la metodica, la difficile arte del dire.
Chi voleva proseguire gli studi oltre le scuole di retorica, per lo studio delle scienze o della filosofia doveva recarsi nei grossi centri di Atene, Alessandria, Rodi, Efeso, Pergamo, Apollonia, Napoli e Marsiglia.
Per quanto riguarda gli strumenti di studio, i libri venivano trasportati in un apposita cartella (capsa) e conservati sotto forma di rotoli (volumen, da volvere) in armadi detti bibliothecæ (bibliopola era il libraio). Le tavolette cerate erano spalmate con cera mista a pece e servivano per esercitazioni scolastiche: si incideva la cera con lo stilus, un’asticciola metallica appuntita con, sull’altra estremità, una piccola spatola rotonda o piatta che serviva per cancellare le lettere già tracciate e restituire alla cera l’uniformità della superficie.
Chi voleva proseguire gli studi oltre le scuole di retorica, per lo studio delle scienze o della filosofia doveva recarsi nei grossi centri di Atene, Alessandria, Rodi, Efeso, Pergamo, Apollonia, Napoli e Marsiglia.
Per quanto riguarda gli strumenti di studio, i libri venivano trasportati in un apposita cartella (capsa) e conservati sotto forma di rotoli (volumen, da volvere) in armadi detti bibliothecæ (bibliopola era il libraio). Le tavolette cerate erano spalmate con cera mista a pece e servivano per esercitazioni scolastiche: si incideva la cera con lo stilus, un’asticciola metallica appuntita con, sull’altra estremità, una piccola spatola rotonda o piatta che serviva per cancellare le lettere già tracciate e restituire alla cera l’uniformità della superficie.
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Era diffuso anche l’uso del papiro, ricavato dal midollo del papirus (pianta acquatica della Valle del Nilo). L’inchiostro (ottenuto con fuliggine, resina, pece, feccia di vino, nero di seppia, con aggiunta di sostanze gommose) era di durata indefinita; ce lo hanno dimostrato i papiri ercolanensi, che rimasti sepolti sotto uno strato di cenere durante l’eruzione del 79 d.C., sono tornati alla luce (in età borbonica) privi di consistenza e quasi carbonizzati, ma ancora recanti chiari i segni della scrittura su essi tracciata.
L’indagine archeologica oggi non è in grado di affermare se Pompei fosse un centro della cultura nel senso vitale e propulsivo della parola. La scoperta delle tavole cerate di Cecilio Giocondo del 1875 è rimasto un fatto eccezionale, prescindendo dalla cosiddetta Villa dei Papiri della vicina Ercolano. Non è stata trovata in Pompei una biblioteca pubblica: vi erano invece, alcune raccolte di libri appartenenti a privati. Le iscrizioni pompeiane diventano allora, la fonte precipua di informazione sulla cultura in questa città: in particolare, le iscrizioni graffite costituiscono un orientamento preciso per l’individuazione del gusto letterario e del tipo di educazione scolastica che veniva impartita.